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L'intervista by Letture.org

 

Prof. Alessandro Figus, Lei è autore del libro La Quinta Repubblica francese. Società, istituzioni, politica edito da Carocci: la vittoria elettorale di Emmanuel Macron segna un punto di non ritorno nella politica d’Oltralpe?
Il mio libro ha la prefazione di Roland Dumas, figlio di un funzionario statale, esponente della Resistenza e fucilato nel 1944 dai nazisti a Brantôme, grande amico di François Mitterrand, personaggio politico di rilievo, fu più volte ministro, ma soprattutto capo della diplomazia. In quel periodo Dumas dovette fronteggiare eventi epocali come il crollo del Muro di Berlino, il Colpo di stato sovietico del 1991, e ancora la conseguente dissoluzione dell’URSS e la Guerra del Golfo nel 1991 ed infine il 7 febbraio 1992 fu lui a firmare il Trattato di Maastricht. Quando decisi di chiedere a lui di scrivere la mia prefazione lui mi disse che ci voleva coraggio a scrivere un libro sul “sistema Francia” e che fosse audace lanciarsi nello studio del sistema politico francese nel momento in cui i sondaggi testimoniamo l’esasperazione del popolo francese nei confronti “del sistema” e in cui l’establishment si interroga sulla maniera di riconciliare i Francesi con la Politica. L’elezione presidenziale secondo Dumas si annunciava come un momento chiave nella storia della Quinta Repubblica, portata al fonte battesimale il 4 ottobre 1958 dal Generale Charles De Gaulle. Così è stato! Condivido soprattutto quando Roland dice che l’opposizione sistematica fra i differenti partiti politici sulle questioni essenziali appare ormai in modo evidente come l’espressione di una postura sterile che implica il gioco del sistema politico francese, ma che il popolo non accetta più. A volte penso che la Francia stia assomigliando sempre più all’Italia, o forse è il mondo che cambia e tutto tende ad omologarsi. La vittoria di Macron conferma che sono saltati gli schemi tradizionali, con i francesi privi di alternative credibili, costretti da quello che è l’essenza del sistema presidenziale francese ad eleggere un uomo consegnandogli totalmente e senza riserve i destini del Paese per cinque anni. L’elezione di Macron sembra apparire come un rifiuto da parte del popolo della casta, i francesi hanno in fondo dimostrato maturità politica reale, ormai in disaccordo con l’idea che il leader debba essere per forza un professionista della politica, la cui preoccupazione costante, una volta eletto, sia quella di mantenersi al potere. Macron in questo senso sfugge alla consuetudine, alla omologazione, appunto. Non è una questione di ritorno o non ritorno, ma voglia di libertà di scelta al di fuori degli schemi, una scelta progressista e nello stesso tempo equilibrata, i francesi vogliono tornare alla normalità e riavere un ruolo in Europa, la Le Pen non avrebbe assicurato questa prospettiva. La scelta di Macron è stata poi anche una scelta europeista, la possibilità di allontanare la Frexit.

 

Il Front National ha annunciato di voler cambiare nome: quali sviluppi futuri prevede per la strategia politica di Marine Le Pen e dell’estrema destra francese?
Marine Le Pen mi fa pensare ad una donna che convive con conflitti familiari, che non riesce a risolvere e che è quindi lontana dall’essenziale pacifismo delle donne; in termini storici questa è un’idea abbastanza recente. Nel passato la capacità di usare le armi dipendeva dalla forza fisica, le donne che prendevano il campo con la spada in mano alla Giovanna D’Arco, per intenderci, erano una rarità. Nella storia vi fu una considerevole quantità di donne potenti, talvolta portate alla violenza quanto gli uomini, anzi talvolta di più. Ecco a volte penso a questo quando penso alla Le Pen, donna prima che politico, donna forte e tenace, che non guarda in faccia nessuno, ma che ha perso, certo che ha perso!; vittima dei suoi stessi slogan, uno fra tutti quello di andare contro la tradizione di società aperta francese, che può essere sintetizzato nella sua frase “ripristinare le frontiere immediatamente dopo l’arrivo al potere”. La Francia non ha mai voluto, e non vuole limitazioni fisiche e tantomeno ideologiche. In questa sua battaglia per un ritorno al passato, appare come una nostalgica, in questo senso non guarda al futuro. Il ruolo della Francia con la Le Pen sarebbe retrocesso ancora, la maggioranza dei francesi lo sanno, ecco perché Marine Le Pen, nonostante i suoi annunci di ritiro è un leader che dopo la sconfitta non ha e non lascia una nuova idea di futuro. Il Front National è tristemente destinato ad esser un partito limitato ad essere opposizione, un partito che ha bisogno di un forte rilancio soprattutto perché non ha compreso le nuove regole del mondo globalizzato, che non ha compreso che è il settore economico e finanziario a decidere. La Francia ha bisogno di modernizzarsi e di aprirsi a nuovi mercati oggi perduti a vantaggio di altri paesi, anche europei. Alla fine tutto il successo dell’estrema destra francese si è limitato a sfruttare gli errori della presidenza Hollande e situazioni ambientali particolari quali gli eventi terroristici. Il futuro della Francia è ancora fortemente europeista, l’elezione di Macron è stata anche sponsorizzata dallo stesso Hollande, a cui è stato legato in passato, e questo alla fine un po’ l’essenza dell’isolamento della Le Pen. Macron è infatti più di sinistra di quanto si possa pensare, ha pure un pizzico di populismo che ha scatenato in modo soft per fronteggiare l’ultima battaglia contro il Front National. Sul piano dei valori e dei principi, senza dubbio Macron gioca il ruolo del dopo Hollande, un passaggio quindi senza rischi, mentre al contrario la Le Pen sarebbe stata un salto nel buio, tenendo conto che la politica economica della Francia si decide all’Eliseo. Con la sconfitta di Marine Le Pen, il suo annuncio di ritiro e in concomitanza la rinuncia della nipote Marion Maréchal Le Pen, l’estrema destra sembra non avere possibilità di rilancio, il destino di eterni secondi, un futuro con un ruolo sempre meno ambizioso e rilevante. Così hanno deciso i francesi.

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L'intervista by Letture.org

 

Prof. Alessandro Figus, Lei è autore del libro Sistema Ucraina edito da Eurilink University Press: come nasce e si sviluppa l’identità ucraina?
L’Ucraina è sorta nel 1991 dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica e ha visto la rinascita di quella “statualità ucraina” (che solo pochi anni prima sembrava un’eventualità concretamente irrealizzabile) prima con la Dichiarazione d’Indipendenza del 24 agosto e, poi, nel dicembre dello stesso anno, attraverso il succedersi d’eventi, quali l’esito plebiscitario al referendum popolare sull’indipendenza, l’elezione a suffragio popolare di Leonid Kravchiuk a presidente della Repubblica e, infine, l’adesione alla CSI, Comunità degli Stati Indipendenti.
Durante i primi passi dell’indipendenza molti osservatori internazionali ritenevano non fosse facile un suo consolidamento, ma il popolo ucraino riuscì a smentirli, seppure affrontando e superando ostacoli, sia sul piano politico e religioso, sia, naturalmente, sul piano economico. Evidenti problemi erano emersi durante la transizione all’economia di mercato, aggravati rispetto alla Russia, dalla mancanza d’autosufficienza energetica.
La dipendenza energetica rappresenta, ancora oggi, e questo resta un punto critico e cruciale, un fattore strutturale di debolezza sul piano economico e politico. Kiev, infatti, non ha il controllo della gestione del gas e del petrolio, seppure gli idrocarburi dei giacimenti siberiani, diretti verso occidente, transitino sul territorio ucraino. Insomma la storia dell’ucraina si intreccia sempre con quella russa, o viceversa.
Tutto è connesso dalla politica all’economia e lo è anche l’identità ucraina. Pensiamo ad esempio a quando dopo il 1850, Odessa divenne un grande porto e l’Ucraina visse la sua prima industrializzazione, con una forte crescita economica e, di conseguenza, una rinascita culturale, che risvegliò il nazionalismo, prontamente represso dalle autorità zariste. La lingua ucraina fu proibita nel 1874 e definita dialetto della lingua russa. Il malcontento generale si indirizzò verso l’antisemitismo, che portò ad un imponente flusso migratorio, soprattutto verso gli Stati Uniti e, in particolare, verso New York, Chicago e la zona dei Grandi Laghi. Solo dopo le gravi agitazioni politiche del 1905 in Russia, le regioni ucraine ottennero diversi vantaggi, specie di natura culturale. Dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917, si accentuarono le tendenze separatiste ucraine e la questione Crimea è sempre stata una questione importante. Insomma, l’Ucraina ha sempre tentato di oscillare tra Europa e Russia, ma ne ha sempre subito drammaticamente le conseguenze, che in fondo ancora oggi il presidente Poroshenko non è riuscito a sciogliere. Infatti Dopo il governo di Arseniy Yatsenyuk, più volte da lui stesso definito come il migliore nella storia dell’Ucraina in quanto riuscito a sopravvivere alla crisi basandosi sugli ideali della “Rivoluzione della Dignità”. Per questo ideale più di cento persone erano morte sul Maidan, riprendendo in mano il paese che aveva perso la Crimea e stava per affrontare la ribellione delle regioni separatiste orientali, purtroppo la guerra è costata la vita a più di novemila persone. Crisi economica, lotta alla corruzione e a un sistema di governo fondato sull’intreccio di interessi tra politici e oligarchi hanno condotto Poroshenko a guardare ad un nuovo cambiamento con il nuovo fedelissimo premier Groysman, che ha formato un governo appoggiandosi unicamente sui due principali partiti: il Blocco del presi-dente e sul Fronte popolare di Yatsenyuk. L’incapacità del governo precedente di mettere in pratica i cambiamenti promessi ha visto come unica grande differenza il legame tra Groysman e Poroshenko, riuscito infine ad imporre il proprio uomo di fiducia.
In conclusione è possibile affermare che oggi, nonostante i proclami, il presidente Poroshenko ha sempre dimostrato una forte resistenza alle riforme, e disinteresse per la lotta alla corruzione, la prima delle richieste del Maidan. Il no all’Ucraina pronunciato dagli olandesi, che il 6 aprile 2016 hanno votato in un referendum contro l’Accordo di associazione alla Ue, ha allontanato il sogno europeo. Un no di cui oggi non sono ancora ben chiare le conseguenze, con un valore simbolico che certamente pesa tantissimo sugli ucraini. In molti sul Maidan hanno creduto alla loro battaglia per l’Europa, e alle rassicurazioni dei leader politici – compresi Yatsenyuk e Poroshenko ed oggi Groysman resta una incognita. Per il futuro del paese, insomma, nessuna certezza.

 

Di Ucraina si parla sempre meno: qual è la situazione attuale nel paese?
Sono stato recentemente in Ucraina. Mentre a Kiev o a Leopoli la vita sembra tornata normale (a dire il vero ogni giorno a Kiev vi sono proteste di ogni genere davanti al Parlamento), la situazione più ci si avvicina al Donbass diventa drammatica. A parte i check point e i controlli dell’esercito, non si respira un’aria tranquilla. Molte istituzioni, come ad esempio le Università, si sono spostate ad esempio da Donetsk a Mariupol. Si parla di spostamenti temporanei, ma in realtà hanno sempre più l’aria di essere definitivi. La gente è scappata dal Donbass e si è distribuita in Ucraina, molti hanno venduto, anzi svenduto, le case e si sono trasferiti. Molti hanno cambiato lavoro, molti hanno addirittura lasciato l’Ucraina per cercare fortuna altrove. In Europa, di Ucraina si parla sempre meno, I riflettori si sono spenti, accesi su altri luoghi dove altri conflitti, quali quelli medio orientali, hanno sostituito il problema ucraina; eppure in questi anni l’Ucraina ha visto evidenziata la crucialità del suo rilievo negli equilibri europei. Sembra che gli scenari da guerra fredda non interessino più la stampa occidentale. Come ben enuncia l’ambasciatore Melani, anch’io auspico in tempi brevi, onde superare la quotidianità dell’evento, che vi sia una piena attuazione degli accordi di Minsk che hanno rappresentato una prospettiva di rispetto delle volontà delle popolazioni in un quadro di autonomia all’interno di una Ucraina che da una parte si integra territorialmente e dall’altra parte cerca una architettura di ritrovata collaborazione nel nostro continente.

Quali sono i principali indicatori economici del sistema ucraino?
La crisi economica e politica di fine 2013, che ha portato alla destituzione del presidente Yanukovich, ha fatto sì che la Crimea e, quindi, anche il porto di Sebastopoli, fossero controllati dai russi. Se i porti del Mar Nero avranno un futuro diverso da quelli della Crimea è, oggi, presto per dirlo. Quei porti, sorti a partire dal XVIII secolo, avevano la funzione di porta meridionale di accesso all’Europa Occidentale.
Le risorse naturali dell’Ucraina sono note da molto tempo. Tuttora, si continuano a scoprire nuovi giacimenti di minerali. La materia prima necessaria all’industria metallurgica si estrae a nord e a sud di Krivoj Rog (Corno Storto), in una stretta fascia, così come ad est della penisola di Crimea, anche se qui il prodotto è di più bassa qualità. Altri giacimenti sono quelli di mercurio, nichel, alluminio e titanio, e, nelle vicinanze di Donbàss, territorio che oggi non è più sotto il controllo del governo ucraino e dove ancora si estrae carbone da coke e carbone energetico, mentre miniere importanti di carbon fossile sono nei bacini di Leopoli e Volin, zone ricche anche di giacimenti di zolfo. Recentemente, sono stati scoperti giacimenti di petrolio e di gas nella parte occidentale e orientale della Repubblica, ma le difficoltà economiche non ne permettono la ricerca.
L’Ucraina, dunque, è ricca di materie prime e, nonostante sia percorsa da grandi fiumi, quali, ad esempio, il Dnjepr, la cui sostanziale povertà d’acqua ne ostacola lo sfruttamento. Il paese soffre della mancanza di risorse idroelettriche, ecco il motivo per cui si cercarono soluzioni attraverso la costruzione di centrali termoelettriche e atomiche. Una triste scelta (vedi Chernobyl e i sui problemi tecnici di smantellamento), soprattutto a causa delle scarse risorse economiche, che non hanno mai permesso di curarne la manutenzione che, come conseguenza, ha la perdita di funzionalità.
A seguito del crollo dell’impero sovietico, è specialmente il settore industriale (industria leggera e produzione di beni di consumo) ad apparire in difficoltà, non riuscendo più a soddisfare le esigenze della popolazione lo-cale. A partire dal 1991, si è assistito ad un progressivo “riposizionamento”, alla ricerca di una completa autonomia dalla Russia. Questo resta il nodo cruciale sia politico che economico, purtroppo per l’Ucraina.
Quello che più preoccupa, però, non sono però gli sconfortanti dati del 2013 e quelli ancora più scoraggianti del 2014, l’anno della vera crisi politica ed economica, della perdita della Crimea, da sempre meta di turisti, quanto piuttosto una Ucraina dove il prodotto interno lordo pro-capite non si muove e re-sta a circa un quarto di quello italiano, meno della metà della Turchia. La rivolta popolare sembra, ad una parte di cittadini, l’unica soluzione per uscire dalla crisi economica, nella speranza che l’Unione Europea si accolli tutti i debiti e faccia ripartire l’economia.
Il problema è più complesso e ha radici lunghe, compresa quella delocalizzazione di propri comparti industriali in Russia e la vendita di vasti territori agricoli alla Cina. Le condizioni del Paese sembrano irreversibili, se non con manovre politiche ed economiche straordinarie. La crisi aggrava la situazione del Paese e, di conseguenza, inasprisce i rapporti interni, dove una stretta fascia di popolazione detiene la maggior parte delle ricchezze.
Oltre a tutto questo, il problema della via del gas naturale, che dalla Russia passa attraverso l’Ucraina per rifornire l’Europa, è strettamente legato alla Russia che, attraverso Gazprom, compagnia leader al mondo nell’estrazione di gas naturale che estrae circa il 95% del gas russo, di fatto ne controlla l’economia.
L’Ucraina è indebitata con Gazprom per oltre un miliardo di euro e, al con-tempo, beneficia di contratti a prezzi di favore per la fornitura del gas. Tutto sembra annullato, dopo la crisi con la Russia e l’annessione della Crimea da parte della Russia, che in quella regione tiene parte della sua flotta, già a partire dalla fine del XVIII secolo.
Tutto questo se parliamo di economia, ma non dimentichiamoci che Russia e Ucraina sono legate dall’identità di una parte della loro popolazione, dalla loro storia, spesso accomunate da uno stesso modo di pensare, che va oltre la propaganda politica, talvolta oltre gli interessi economici. La crisi ha fatto arrivare anche gli speculatori e questo non è un bene per Kiev.
Difficile disegnare nuovi scenari economici. In questa Repubblica post sovietica si sono ripetuti capovolgimenti politici tra filo-russi e filo-europei, con una nazione spaccata in due: un nord-ovest, filo-occidentale, economicamente legato a Polonia ed Europa, e un “sud-est” filo-russo, dove la popolazione in maggioranza è russa o russofona, legata economicamente alla Russia. Alla fine, quello che conta è che negli ultimi 5 anni la crescita è sempre stata negativa.
Viene il sospetto che per mantenere l’integrità del Paese bisogni, in automatico, mantenere l’Ucraina in uno stato di conflitto permanente. La crisi ucraina spaventa, quotidianamente, le Borse mondiali, più che altri conflitti in Medio Oriente, nonostante le rassicurazioni di Vladimir Putin, il quale ribadisce che la Russia non vuole uno scontro armato.
Alla fine, qualcuno dovrà soccorrere l’economia ucraina.
Per il 2018 e forse anche dopo, non vedo nessuna prospettiva certa, anche se la Banca di Ucraina prevede un ritorno allo sviluppo. Purtroppo l’Ucraina può beneficiare dal suo accordo con l’UE solo se elabora e fa rispettare regole trasparenti e ragionevoli per gli investitori europei, in caso contrario, l’accordo sarà semplicemente un peso sulla bilancia commerciale e la guerra civile è ancora in corso è quindi difficile fare una qualsiasi previsione.

Il mercato ucraino è interessante per investitori ed aziende?
Nonostante la crisi, le relazioni commerciali tra l’Italia e l’Ucraina stanno assumendo una particolare rilevanza, intensificandosi in modo considerevole. Il valore negativo del saldo, caratterizzante la bilancia commerciale italiana con l’Ucraina, procede comunque sempre in maniera oscillante. Tra il 2014 e inizio 2016 la crisi è stata devastante, questo causato dalla crisi con il maggior partner storico ucraino, cioè la Russia. Ora le cose vanno meglio, si prevede una crescita, l’FMI sostiene intorno al 2%, ma saranno dati veri? Il mercato proprio perché in crisi è diventato interessante soprattutto per il basso costo della manodopera. Il potere d’acquisto degli ucraini è notevolmente calato nell’ultimo disastroso biennio, lo stipendio medio netto sceso da quasi 500 euro al mese a poco più di 150, il costo della vita nel Paese è rimasto relativamente basso. Un professore universitario difficilmente raggiunge i 200 euro di salario, e questo la dice lunga. La più importante novità per noi europei è che dal 1° gennaio 2016 è entrato in vigore un apprezzabile accordo sulla costituzione di una Free Trade Area (FTA) che presume la commercializzazione esentasse del 75% degli articoli europei. L’obiettivo è quello di arrivare, nel giro dei prossimi sette anni, al 100%, si sostituisce di fatto la Russia con la UE, in prima linea anche l’Italia. Investire in Ucraina non è semplice, eppure vi è una presenza di moltissime imprese di grande rilievo sul mercato ucraino (Ferrero, Eni, Mapei per citarne alcune), quindi l’Ucraina offre vantaggi interessanti a chi decide di investire nel territorio, questo favorito dal fatto che vi è un basso costo dell’energia industriale, molto inferiore a quello sostenuto dalle imprese in Italia.
Concordo con l’Ambasciatore Maurizio Melani quando sostiene che: “Siamo ancora lontani da questa soluzione ottimale(cioè l’applicazione degli accordi di Minsk) e l’Ucraina non è in grado di esprimere le sue potenzialità certamente di grande interesse per il sistema produttivo italiano”.

Quale sarà, a Suo avviso, l’evoluzione dello status politico ed internazionale dell’Ucraina?
Difficile in questo momento fare previsioni, ma tutto sembra procedere come previsto, con riflettori spenti e Russia che ha tutto da guadagnare in questa situazione ambientale, drammatica, tragica conseguenza storica di avvicinamento dell’Ucraina alla Russia che in cambio di un prezzo vantaggioso del gas russo, il Cremlino ottenne il noleggio fino al 2042 della base navale di Sebastopoli in Crimea, in violazione della Costituzione ucraina, che vieta la presenza sul suo territorio di truppe straniere. Abbiamo visto come è finita la storia della Crimea. A proposito poi di identità ancora il provvedimento di Yanukovich del 2012 che pose la lingua russa come seconda lingua di stato si base regionale, fa comprendere come l’Ucraina si sia suicidata in silenzio. Per questo intendo concludere riportando e condividendo quello che prevede il prof. Roberto Valle nel mio libro e cioè che “Nel prossimo quinquennio, la piattaforma centrista incarnata dal putinismo tenderà a stabilizzarsi, includendo un vasto fronte liberal-conservatore: l’affermazione di una opposizione liberaldemocratica resta quanto mai illusoria. Il nazionalismo etnico russo è destinato a riafferma-re la propria egemonia politica e culturale. Dopo l’incorporazione della Crimea, la Russia potrebbe intervenire in altri paesi ai suoi confini avendo interessi geopolitici e geo-economici in Kazakistan, nei paesi baltici e in Bielorussia. Nel 2020 la Russia, nonostante le sue aspirazioni globali, rimarrà ancora una potenza regionale e non diventerà una potenza leader nel contesto mondiale, dove continueranno a predominare gli Usa e la Cina. Tuttavia la Russia potrebbe diventare una potenza laterale e bilanciatrice tra Cina e Usa, preservando la propria sovranità e facendosi garante dell’equilibrio mondiale post-unipolare. Tutti i tentativi di disintegrazione della Russia sembrano falliti (all’inizio del XXI secolo uno studio occidentale prevedeva che nel 2015 la Federazione Russa avrebbe avuto la stessa sorte dell’Urss): con la crisi del nuovo ordine mondiale unipolare, le relazioni internazionali sono entrare in una nuova era”. Il mondo è vero, va veloce, ma forse anche la globalizzazione si fermerà e si tornerà “dopo il beyond a tutti costi” a fare un passo indietro, forse.

Editorial Board – The UNIVERSITY WITHOUT BORDERS Journal of ECONOMICS & BUSINESS_page-0001
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